LinkedIn e gli avvocati, una relazione complicata
Un numero in costante crescita di avvocati italiani utilizza LinkedIn. Per esserci, per farsi vedere, perché un profilo ce l’hanno tutti e non avercelo pare brutto. In pochi lo usano però per lo scopo per cui è stato creato: costruirsi un network di conoscenze tra cui molti clienti potenziali da agganciare.
Tradotto: fare business development.
Non un profilo ma una voce autorevole
LinkedIn nasce nel 2003 come networking professionale per sviluppare una rete di contatti di lavoro tra persone con interessi e competenze simili, per parlare di affari e sviluppo delle conoscenze, per farci conoscere grazie alle cose di cui siamo esperti.
Da una survey dello stesso LinkedIn del 2017, Milano è la 5 città al mondo per numero di utenti connessi.
Il fatto che l’inglese non sia l’unica lingua in cui è utilizzabile ha poi facilitato non poco le cose per gli avvocati, dando modo di scrivere post e articoli in italiano che non vuol dire non conoscere l’inglese ma avere chiaro a quale platea rivolgersi e in quali aree e settori muoversi. Sostanzialmente il fatto è che, a meno di ricoprire il ruolo di partner in uno studio associato internazionale anglo-americano, ha poco senso avere il profilo in inglese.
Trattandosi di persone che vendono i propri servizi, al centro del lavoro c’è sempre una competenza personale, la fiducia che si ispira, il rapporto con un cliente basato su elementi che si costruiscono nel tempo e che difficilmente possono essere riassunti in uno slogan.
Da qui si capisce immediatamente come, spostandosi dalla pagina bio di un sito web ufficiale di Studio al profilo personale su un social media, le difficoltà per costruire e gestire un account LinkedIn che non perda mai di vista la lenta costruzione di un solido nome siano molte.
Primo problema: la maggior parte degli avvocati presenti su LinkedIn punta ancora quasi esclusivamente sul proprio curriculum per dimostrare la propria autorevolezza e comunicare competenza.
Secondo problema: la maggior parte degli avvocati utilizza LinkedIn unicamente come una finestra da cui osservare le attività dei propri concorrenti e colleghi. Entro, osservo, ho una reazione/mi faccio un’idea, esco.
Il curriculum non basta
Che sia fondamentale non ci sono dubbi; è la base da cui ognuno parte per costruire il proprio futuro ma spesso titoli accademici ed esperienze pregresse – in molti hanno permanenze decennali in un unico Studio che li ha visti junior, associate, senior e partner con un ottimo percorso ma senza la percezione, giusta o sbagliata che sia, di vere sfide professionali e umane – sono gli unici dati su cui si cerca di basare la propria complessiva reputazione professionale. È un miraggio giustificato, soprattutto qui in Italia, dal fatto che esami e voti
a distanza di anni prevalgano ancora su altre skills che si apprendono con la vita professionale vera e propria: le capacità di relazionarsi con i clienti, quelle di negoziazione, saper comunicare, utilizzare la tecnologia nel proprio lavoro, avere capacità di gestione ed organizzazione di progetti e persone, saper fare rispettare i tempi di un’operazione.
Queste capacità sono spesso snobbate o dimenticate, nella compilazione delle varie parti del profilo, anche dai più bravi che dunque inciampano perdendo l’occasione di consegnare di se stessi un ritratto davvero completo che renda l’idea di che cosa siano realmente in grado di gestire e come.
Un network che faccia da amplificatore
Aggiungere contatti al proprio account non è difficile, anzi. Si comincia dagli ex compagni di università, si continua con i colleghi d’ufficio, si prosegue con i clienti e i professionisti incrociati a convegni ed eventi. E va benissimo. Il punto è che arrivati a un certo numero di contatti bisognerebbe cercare di capire se questo “pubblico” che abbiamo raccolto intorno a noi è coerente e, brutalmente detto, utile.
Il circolo di persone che legge i nostri post, quando ne scriviamo uno, è funzionale a (ri)trasmettere il nostro messaggio? Svilupparlo con dei commenti? Trasportarlo altrove? Perché LinkedIn serve a questo e se questo non avviene mai allora abbiamo un problema.
Diventare bravi a riunire attorno a noi le giuste persone non è facile e soprattutto non è immediato; perché bisogna innanzitutto capire per quale fine vogliamo usare LinkedIn e tentare di costruire una comunità di persone che hanno gli stessi nostri interessi, che parlano la nostra lingua, che sappiamo voler cercare le soluzioni che noi saremmo in grado di dargli.
Solo in questo modo un nostro contributo in merito a una questione di nostra competenza può assumere immediatamente una valenza che, se recepito invece da un network eterogeneo e non interessato, non avrà mai.
Parlare attraverso interazioni e contenuti
Ammesso che il fine per cui siamo su LinkedIn sia quello, giusto, di rafforzare la nostra reputazione professionale, l’atteggiamento con cui ci si relaziona con gli altri su questo social è fondamentale.
LinkedIn non è Facebook, qui non rilevano i gusti personali o le opinioni politiche delle persone, anche le fotografie dei profili quando sono troppo ammiccanti seppur belle hanno comunque la tacita dicitura “fuori posto”. Il punto è che anche qui però è fondamentale interagire con gli altri; e purtroppo per molti a questo punto le cose diventano complicate.
Da una parte c’è la nota reticenza di molti a instaurare conversazioni a commento di un post, dall’altra c’è l’algoritmo che privilegia i commenti ai like. Questo vuol dire che se il nostro post riceve solo dei like ma non commenti esso sarà ritenuto “debole” dall’algoritmo che governa quello che vediamo o non vediamo nel feed della Home. Il risultato sarà una scarsa visibilità data al post.
Gli stessi repost che avvengono in automatico quando mettiamo il like a un post non raggiungono l’intera rete di nostri contatti ma solo una parte; il resto ce lo dobbiamo guadagnare facendo in modo che ciò che noi diciamo abbia un interesse ad essere veicolato.
Per questo motivo la scrittura, la creazione di contenuti ad hoc che interessino il nostro network, i commenti che scriviamo o che riceviamo sono importanti per fondare e far mantenere autorevolezza al nostro profilo.
Pensare che per nutrirlo basti condividere ogni tanto un articolo di una rivista di settore reputato interessante o una notizia che ci riguardi senza nulla aggiungere è un errore di valutazione che rende più difficile utilizzare al meglio questa piattaforma potenzialmente utilissima.