Avvocati e marketing, esiste una comprensione reciproca?

Nell’ultimo anno l’offerta relativa ai servizi di marketing legale è aumentata in modo esponenziale. Complice probabilmente la pandemia, la scoperta di moduli di lavoro a distanza, i webinar, la necessità sempre maggiore di sentirsi visibili sul mercato e di comunicare, gli studi legali si trovano di fronte una vasta scelta di soggetti pronti ad aiutarli, sebbene il linguaggio del marketing e della comunicazione non sia la lingua comune. Come capire di cosa si abbia davvero bisogno?

 

La lingua del marketing è chiara per gli avvocati?

 

Sempre più avvocati e studi legali si rivolgono a consulenti per essere aiutati nella comunicazione e nel marketing. Questa è una buona notizia se si considera che ci sono ancora molte resistenze in merito al concetto di pubblicità legato a questo settore, tradotte in timori di veder svalutato il proprio ruolo o di commettere errori comunicativi, o ancora semplicemente perché non si è approfondito il tema e vivere nella propria comfort zone è sempre più facile.


L’altro aspetto di questo interesse verso il mondo del marketing legale è l’aumento dei soggetti, consulenti e agenzie, pronti a offrire i propri servizi. Mentre leggete questo articolo potete fare una semplice ricerca “marketing e comunicazione legale” su Google e ciò di cui parlo diventerà immediatamente più chiaro. In questo contesto, quanto è facile per gli avvocati comprendere se ciò che viene offerto loro è quello di cui hanno realmente bisogno?


Temo sia sempre più palpabile una certa confusione a livello di linguaggio e di concetti. Mi spiego meglio: sempre più contenuti parlano di legal tech, web marketing, legal design, conversion rate, Seo strategy, content planning, kpi review, personal branding e così via. È tutto chiaro agli gli studi legali destinatari di questi messaggi?


Così come è fondamentale che gli avvocati siano chiari nel comunicare la materia giuridica al proprio pubblico e ai propri clienti

 

è altrettanto importante che questo avvenga anche quando il rapporto è tra il mondo del marketing e quello legale perché i linguaggi sono diversi e solo attraverso la reale comprensione del contenuto e della portata dei vari strumenti uno studio potrà capire quali fanno o meno al caso suo.


È chiaro che la grandezza e i settori di practice rilevano moltissimo nella costruzione di una strategia di marketing; per i grandi studi i dipartimenti interni sono interamente responsabili del lavoro ma per gli studi di media grandezza – il mondo esteso delle boutique – non è sempre facile capire quale sia il modo migliore di procedere rischiando di far confusione e investire in piani non adatti: in quanti hanno veramente capito se il legal design è loro necessario o quali strumenti di web marketing preferire e quali tranquillamente ignorare?

 

LE DEFINIZIONI DEL MARKETING NEL DIZIONARIO DI MAILCHIMP

 

Il boom del marketing legale e i pacchetti preconfezionati

 

Di fronte alla confusione generata dalla vastità di offerta, messaggi e stili di vendita un atteggiamento frequente da parte degli studi è quello di “lasciar fare”. Affidarsi ad agenzie o consulenti vuol dire aver riposto fiducia nella loro reputazione e nel loro operato, cosa importantissima. Altro motivo molto forte della scelta è l’affinità di stile: si sceglie un consulente perché ci piace il suo stile e lo si vorrebbe far nostro.

Molti studi che si affacciano al marketing lo fanno con aspettative facilmente plasmabili; in relazione a un atteggiamento del genere l’offerta di pacchetti “all inclusive” ha facile presa.
Il risultato di questo tipo di lavoro – connotato da tempi brevi e poca interazione con i consulenti – è nella maggior parte dei casi un sito vetrina in cui la personalità dello studio è difficilmente ravvisabile, un linguaggio standard, una comunicazione via social media, newsletter e altro che ha più le caratteristiche di qualcosa che si “deve fare” piuttosto che il risultato di una scelta consapevole, legata alle concrete caratteristiche di uno studio e dei suoi clienti.


L’uniformità e l’impersonalità di gran parte della comunicazione legale che vediamo in giro nasce anche da qui; da modelli di lavoro e di stile che hanno cristallizzato il messaggio legale e la figura degli avvocati, legandoli ancora a frasi come “leader di settore” e ad elenchi di attività offerte.


In questo contesto non c’è spazio per riflettere sul lavoro da fare sulla scrittura e sul tono verbale, quale percorso offrire al cliente, quali contenuti comunicare per far emergere competenze più che abbagliare con apparizioni in classifiche di settore.

 

Personal branding e promesse

 

Una delle leve su cui da tempo si concentra il marketing legale è lo sviluppo del potenziale e della comunicazione personale, dunque la spinta di un singolo professionista, più comprensibile ancora nel caso di avvocati che lavorano da soli. Qui un buon lavoro può davvero fare la differenza; così come un pessimo lavoro.


I rischi di una strategia di personal branding mal calibrata possono essere diversi; quello più evidente lo si ha a livello di percezione facendo in breve tempo pensare a quell’avvocato come un comunicatore in cerca di numeri e di like più che un professionista che parla con un proprio stile di temi di cui si occupa, rivolgendosi a un pubblico selezionato perché scelto come proprio target.


La trappola della ricerca di numeri in questo caso è molto forte e i social ne sono l’esempio più evidente. Sono consapevole di avventurarmi su un terreno molto delicato in quanto qui lo stile e l’attitudine personale guidano la scelta di una strategia piuttosto che un’altra ma da un punto di vista strettamente professionale la promessa di ottenere una percentuale di clienti in più al mese attraverso un’auto promozione composta da una narrazione basata spesso più sull’apparire che sul contenuto dovrebbe essere molto, molto soppesata.


Il rischio di confondere la sfera personale con quella professionale è molto alto perché sebbene nella comunicazione l’elemento soggettivo sia estremamente importante come ho già avuto modo di dire, non si deve però dimenticare che il marketing in questione è riferito ad avvocati, non aspiranti influencer di prodotto. Il moltiplicarsi su LinekdIn di video e post di dubbia qualità in termini di contenuto e stile dovrebbe essere un campanello d’allarme, non una moda da seguire.

 

Cosa considerare

 

Dunque cosa considerare prima di rivolgersi a un consulente che aiuti lo studio? Alcuni consigli che possono tracciare un primo passo:

  • La situazione reale. Valutare la priorità dei bisogni dello studio, se quello della ricerca di nuovi clienti, di rafforzare il proprio posizionamento, allargare i propri servizi.
  • Cercare di definire la bozza degli obiettivi possibili e del tempo che siamo disposti a investire
  • Chiedere chiarimenti sugli strumenti e le strategie che ci vengono proposte e valutare se si addicono allo stile e alla personalità dello studio e dei professionisti
  • Non giudicare solo sulla base dei numeri; sono importanti ma non devono guidare in assoluto la scelta della strategia. Valutare sempre anche l’aspetto collegato alla percezione, alla reputazione e al valore aggiunto a lungo termine.

 

Articolo pubblicato il 28 febbraio 2021 su 4cLegal