Perché (quasi tutti) gli avvocati temono il marketing legale anche se non lo dicono
Gli avvocati hanno scoperto la comunicazione ma non sempre riescono a farla nel modo giusto.
La paura di svilire il proprio ruolo
Molti avvocati temono la comunicazione e il marketing perché “non li capiscono” e reputano questi strumenti responsabili di uno “svilimento” non necessario della professione. Altri – al contrario – si lanciano ( a volte devo dire disperatamente) senza cercare di approfondire e capire, ottenendo così risultati incerti o inadatti.
Molti partner di studi affermati – più o meno grandi – tentano di trattare la comunicazione come una materia di loro competenza. Avviene molto spesso.
Ho passato ore anche quest’anno a spiegare che la scrittura legale per il web non funziona come quella per un contratto o un parere o ad illustrare quanto un’analisi sulla struttura dei servizi possa aiutare la crescita di uno studio.
È un atteggiamento comprensibile per chi conosce la psicologia dietro a questa professione: il senso di responsabilità, l’idea di controllo su tutto ciò che riguarda la propria sfera d’azione, il pensiero (insopportabile) di non saper fare una cosa e doverla delegare ad altri.
I siti web con il conto dei clienti soddisfatti, gli awards
Gli avvocati più giovani che lavorano in studi di provincia e che presumibilmente dovrebbero essere i soggetti più interessati alla comunicazione e al marketing – intesi come leve di visibilità e ricerca di clientela – finiscono spesso per confondere l’idea di strategia con caotiche attività sui social, dove si creano strani mélange di foto con toghe, aforismi motivazionali, condivisioni di articoli di giornale che trattano di casi giudiziari e altro.
Ci sono numerosi studi legali delusi dalla comunicazione, perché non hanno avuto ciò che gli era stato promesso. Sono gli studi medi che almeno 5 – 6 anni fa hanno affidato immagine e contenuti (ovvero brand identity e content marketing) ad agenzie full service o consulenti che hanno trattato il settore legale senza complimenti e senza la minima conoscenza.
I siti web con le immagini sfocate di martelletti, le call to action da outlet commerciale e i numeri progressivi che in homepage mostrano i clienti soddisfatti, sono la triste eredità di questo tipo di collaborazioni.
Esistono poi gli avvocati che vorrebbero “potenziare il business development attraverso un empowerment dei contenuti e degli ads con un’azione mirata sulle key words per ottimizzare la search engine” e poi, quando gli chiedi se i servizi che offrono sono strutturati al meglio per le capacità e le risorse dello Studio, ti dicono che non lo sanno perché non ci hanno mai pensato.
Sempre più spesso la stessa comunicazione mainstream del settore influenza l’idea di cosa uno studio legale abbia bisogno o di cosa debba fare, in termini di presenza sul web, tecniche di marketing e strumenti di comunicazione. E molti avvocati restano affascinati.
Gli awards ne sono la prova; studi di ogni dimensione e provenienza alla ricerca del badge di autorevolezza e merito, ma mentre per i grandi si tratta quasi unicamente di non sfigurare con i competitors, per i piccoli implica sforzi notevoli che nel lungo termine non portano considerevoli risultati.
Ripartire dal coraggio di puntare sulle competenze
Cosa è allora “marketing legale” oggi? A chi serve esattamente? Cosa fa ottenere? Perché fino a ieri la web reputation era solo per gli altri e ora vale anche per gli avvocati? Come capire cosa è davvero sostanziale per una crescita qualitativa, onesta per la natura di questa professione così diversa da tutte le altre eppure immersa come le altre nelle dinamiche di mercato?
- partire da un’analisi accurata della situazione
- sapere che “differenziarsi” non vuol dire ricorrere a linguaggi o mosse stravaganti
- puntare sulla competenza, sempre
- esser pronti a fare investimenti che daranno i risultati nel tempo